Negli ultimi anni, per embargo export, ha rischiato l’estinzione

Milano, 10 dic. (askanews) – Mantello scuro, taglia piccola, zampe corte e robuste, e una criniera di lunghe setole sulla schiena: il suino sardo è appena entrato a far parte dei Presìdi Slow Food. Una razza rustica, allevata in tutta la regione, dalle Barbagie alle aree del Gennargentu e del Supramonte, ma anche in Ogliastra, nel Sarrabus-Gerrei, nell’area del Monte Linas e nel Sulcis-Iglesiente, di cui si trovano riferimenti antichissimi, ma che negli ultimi decenni aveva rischiato la scomparsa a causa dell’arrivo sull’isola della peste suina africana.

Dopo un lungo lavoro di eradicazione del virus, dal 15 dicembre del 2022 è caduto l’embargo sulle esportazioni di carni suine dalla Sardegna, una situazione che perdurava da quarant’anni. “Restano solo quattro comuni in zona rossa mentre dal resto della regione è nuovamente possibile movimentare carni e salumi al di fuori dell’isola” ricorda il referente Slow Food del nuovo Presidio, Raimondo Mandis, spiegando che “questo riconoscimento è un segnale, un modo per sottolineare l’importanza di promuovere forme di allevamento locali e pratiche di trasformazione virtuose, per evitare che si commercializzino carni che arrivano da fuori regione e che, in Sardegna, vengono soltanto trasformate, come tuttora in alcuni casi avviene. Abbiamo – conclude – una razza autoctona da sostenere e valorizzare, simbolo della biodiversità locale e fortemente integrata nell’ambiente isolano”. Una razza che si è salvata grazie al lavoro di alcuni allevatori sostenuti dall’Associazione allevatori della regione Sardegna (AARS), che dal 1920 cura un libro genealogico di razza e che oggi si occupa anche dei controlli per la sua continuazione.

Il suino Sardo, 60 centimetri al garrese e un peso che oscilla tra gli 80 e i 150 chili, ha un colore che può variare dal nero al fulvo, passando per il grigio e il pezzato. E’ un grande pascolatore e si nutre in particolare di ghiande “e consuma molto dell’apporto nutritivo che assume grufolando: ne deriva una carne dal grasso importante, ma dalle caratteristiche nutrizionali ottimali, con bassa percentuale di grassi insaturi” precisa il responsabile Slow Food del Presidio, sottolineando che questo suino “non viene alimentato con insilati né assume antibiotici”

“Oltre alla tradizione gastronomica, l’allevamento del maiale ha un’importante dimensione sociale” prosegue Mandis, spiegando che “nei boschi dove i maiali pascolano vengono da secoli rispettati i cosiddetti usi civici: qui le terre sono utilizzate dalla comunità e gli allevatori le occupano a rotazione, ciascuno per un certo periodo di tempo, assicurando a tutti la possibilità di nutrire i propri animali e conservando le risorse del bosco in modo bilanciato. Il tutto, naturalmente, soltanto nelle stagioni più fredde – conclusde – i mesi nei quali i maiali non rischiavano di danneggiare le altre colture”.

I produttori che aderiscono al Presidio Slow Food sono al momento tre, di cui due sono allevatori e uno soltanto trasformatore. Gli allevatori complessivamente interessati al programma di recupero della razza del suino Sardo sono una novantina, il triplo di vent’anni fa.

Foto di Jacopo Goracci

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