L’intervento della giornalista al Festivaletteratura di Mantova

Roma, 7 set. (askanews) – “Si parla di ‘cultura’ dello stupro, di ‘cultura’ maschilista, sessista, patriarcale. E allora, ho deciso di affrontare la violenza contro le donne in uno dei luoghi della cultura per eccellenza, il Festivaletteratura di Mantova, anche se non era previsto dal programma”. Lo dice, nel corso del suo intervento al Festivaletteratura di Mantova, la scrittrice e giornalista Annarita Briganti.

“Lo chiede la realtà, l’emergenza che stiamo vivendo – spiega Briganti – la letteratura è realtà. All’inizio di questo incontro – mia prima volta da scrittrice al Festivaletteratura dopo aver fatto la volontaria da ragazza e tanti scoop da giornalista qui – voglio ricordare le ragazze e le donne vittime di violenze perché io sono una di loro. Non basta il cambiamento culturale in questa guerra contro le donne, ma serve anche una rivoluzione culturale e voglio farla partire da questo importante luogo del dibattito pubblico. Questo incontro, dal titolo ‘Vite di donne eccezionali’, basato sui miei libri, è contro la violenza contro le donne, come tutto ciò che dico, scrivo, faccio. Come vi dicevo, conosco bene il tema. La scarsa lettura in Italia aumenta la violenza che caratterizza questo periodo storico. I libri mi hanno salvato la vita, danno quel senso delle possibilità che ora ai giovani, e non solo, manca. E quindi, prima di parlare di letteratura, di fare letteratura, vi chiedo un minuto di silenzio per le vittime di violenze, con pensieri pieni di amore per chi si è salvata, ricordando l’importanza di denunciare”.

“Invoco anche uno sciopero generale. Vorrei che l’Italia si fermasse contro questa mattanza, indegna di un Paese civile. E, come ho detto in televisione, chiedo la lettura delle chat di Palermo nel primo giorno di scuola. Una scuola in cui si dovrebbe parlare di questa emergenza per tutto l’anno e in cui andrebbero introdotte materie quali Educazione sessuale, sentimentale, digitale e studi di genere. Lo dico da molto tempo, ma preferiamo, come Paese, come società, il porno legalizzato. Vorrei sentire che non siamo sole”, conclude.

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