Il problema è che una larga fetta popolazione sottovaluta cambio climatico
Milano, 7 set. (askanews) – Il prezzo del caffè ai massimi storici ha una duplice conseguenza: una nel breve periodo e di più immediata comprensione, l’altra nel lungo periodo e più difficile da immaginare. Perchè la prima ricade su un’abitudine quotidiana, l’altra su equilibri socio-demografici globali. Con l’impennata dei costi della materia prima “uno deve considerare che non solo aumenta il prezzo della tazzina del caffè, ma ci ritroviamo milioni e milioni di persone che spinte dalla fame, si riversano nei nostri Paesi”. A riflettere sulle conseguenze del rally del prezzo del caffè è Cristina Scocchia, che dal 2021 guida illycaffè. “La tazza del caffè, lo sappiamo tutti, sta aumentando: il prezzo della tazzina è aumentato del 15% negli ultimi tre anni, adesso in media costa 1,5 euro, seppure con grandi disparità tra città e città, e tutti sappiamo che purtroppo è destinato ad aumentare – ci ha detto a margine dei lavori del forum Ambrosetti – questo perché il caffè verde è ai suoi massimi storici: l’indice del New York Stock Exchange di settimana scorsa oscillava intorno ai 250-252 cents di dollaro per libra, è il 70% di più dell’anno scorso, è addirittura più del doppio dei 110 che ho visto a dicembre 2021 quando sono arrivata in Illycaffè”. E’ ovvio, osserva, che “se la materia prima, il caffè verde che tanto amiamo, passa da 110 a 250 è inevitabile che poi le aziende fino a un certo punto comprimono i propri margini, poi purtroppo devono aumentare i prezzi”.
Tuttavia non si può considerare solo il dato finale e protestare per gli aumenti. Occorre andare oltre e capirne le cause. “Questo fenomeno – osserva Scocchia – è dovuto soprattutto al cambiamento climatico, perché purtroppo assistiamo a meteo avversi dal Vietnam fino al Brasile, la siccità che si alterna a piogge torrenziali, e fa sì che l’offerta di caffè verde sia sempre inferiore alla domanda”. Poi però “ci si è messa anche la geopolitica perchè non poter attraversare il canale di Suez ma dover circumnavigare l’Africa significa container che ci mettono 20 giorni in più in media per le consegne e costi che lievitano. In più ci sono le speculazioni sulle soft commodities, ed ecco che si è creata la tempesta perfetta”. Questa tempesta perfetta però ha ricadute sua sul costo della tazzina di caffè, quindi al micro, ma anche a livello macro “perchè alcuni fattori come il cambiamento climatico sono di una portata e di una gravità tale per cui si pensa che da qui al 2050 la metà del terreno che oggi viene coltivato a caffè non sarà più coltivabile. E questo significa milioni di contadini che oggi vivono al limite della sussistenza e domani saranno spinti dalla fame a provare a emigrare”.
L’esempio più immediato è quello dell’Etiopia “che ha tra i 2 e i 5 milioni di contadini. Se perderanno quel poco che hanno per vivere, avremo due milioni e mezzo di contadini in più etiopi che faranno qualunque cosa per venire in Europa. Quindi questa immigrazione climatica, oltre a tutte le altre conseguenze, è un dramma umanitario che mette in difficoltà anche la tenuta dell’Europa, perché è ovvio che noi non possiamo prendere un numero infinito di immigrati”.
A preoccupare è anche il fatto che “c’è ancora adesso da parte di una larga fetta di persone l’idea che sì il cambiamento climatico c’è, ci sono fenomeni meteo avversi, ma riguardano sempre altri. Non c’è ancora la chiara consapevolezza che da questa situazione non ci si salva ognuno per sé ma tutti insieme. C’è sempre di più la consapevolezza che c’è un cambiamento climatico in atto, che questo è dannoso, ma larghe fette della popolazione ancora pensano che sia un fenomeno che riguarda altri e che noi al massimo abbiamo Milano con i tombini che non reggono come ci è successo due giorni fa”. E invece ha risvolti di portata ben più ampia di fronte ai quali “forse si capisce di più perché è urgente” intervenire.